Austria 2012 - Regia Michael Haneke
Palma d'oro a Cannes 2012 quale miglior film
Attori : Jean-louis Trintignant, Emmanuelle Riva, Isabelle Huppert
Commento di Eco
Ho voluto andare a vedere questo film sapendo cosa avrei visto.
Ho voluto andare a vedere questo film sapendo cosa avrei visto.
All’uscita sala (era il pomeriggio di un giorno feriale quindi pubblico
anziano) non ho sentito il susseguirsi
di giudizi sul film. Solo silenzio interrotto da un signore che sottovoce ha
detto “potrebbe capitare anche a noi”.
Tutti senza fiato come me, è talmente reale e crudo che non riesci a darne
un giudizio.
A conferma trascrivo commento tratto da Panorama.it “Alla fine della
proiezione dedicata alla stampa sulla sala è calato un velo di silenzio.
Mai platea di giornalisti riuniti è stata tanto taciturna e smarrita, incapace
di emettere a caldo suoni e commenti.”
A mio gusto è comunque bellissimo ma
non mi sento di consigliarlo ai giovani forse è troppo lontano dai loro problemi di
vita, mentre gli anziani dovrebbero andare preparati perchè è un tema veramente angosciante.
Poche parole, tanti sguardi
che diventano sempre più attoniti e
niente musica. Così scorre la vita. Ribadisco : bellissimo.
Non riesco a scrivere una recensione chiara quindi ho recuperato,
dalle recensioni dei critici, i giudizi che condivido :
Protagonisti e quasi co-autori, tanto grande è l'importanza degli attori
nella messa in scena del film, sono Jean-Louis Trintignant (di anni 81) ed
Emmanuelle Riva (85), che interpretano la coppia di lunga data costituita da
Georges e Anna.
Haneke molto cinicamente ha voluto attribuire la parte a due interpreti in
grande forma artistica piuttosto in là con l'età, la cui fisicità ricorda
costantemente allo spettatore le conseguenze dell'implacabile lavoro del tempo.
Jean Louis Trintignant e Emmanuelle Riva sono memorabili. Fingono ma non
mentono e proprio in questo sta la verità della loro testimonianza.
”Amour” non lancia alcun messaggio riguardo
a un mistero irrisolvibile quale è quello della natura del sentimento ultimo
dell'estensione di sé nell'altro, molto diverso e meno facilmente
rappresentabile della passione dei sensi o dell'effervescenza dell'innamorato
Si diceva della malattia dunque, e infatti è proprio a partire da questo
drammatico evento improvviso che si dipana l’esile trama del film: il suo
imprevisto sopraggiungere impone un radicale mutamento nelle condizioni di vita
di ciascuno dei due personaggi principali, entrambi sono messi inesorabilmente
a confronto con la radicale alterità dell’altro. Semiparalizzata, costretta a
muoversi su una carrozzina e impossibilitata nel soddisfacimento autonomo delle
più quotidiane esigenze personali, Anne è costretta a sprofondare su se stessa,
il suo corpo insensibile per metà non è mai stato percepito così pesantemente e
in tutta la sua insopportabile presenza. Ciò vale forse ancor di più per
Georges, anch’egli vittima del naturale decadimento fisico della vecchiaia
soffre la fatica dei gesti più banali, ma nonostante questo sceglie di gestire
da solo la complicata situazione, evitando di ricorrere alla facile soluzione
di una casa di riposo per anziani.
E allora quell'amore, che è stato lievito e collante di una vita, si
avvita su se stesso, si isola nella disperazione, fa ricorso alle infermiere,
la cui professionalità non sempre è umana, ma tiene lontana la figlia Eva,
forse per proteggerla o forse perché il dolore non è una maledizione da
spartire equamente.
Ciascuno di loro sta gradualmente perdendo l’altro, e ciò accade proprio
perché mai come in questi istanti drammatici, l’alterità altrui si rivela così
chiaramente: il dolore fisico e psichico di Anne è solo ed esclusivamente suo,
né Georges né tantomeno noi possiamo affermare di sentirlo come lei lo sente e
la stessa Anne è in fondo incapace di sentire tutto lo sconforto e l’angoscia
che Georges silenziosamente si trova a dover fronteggiare.