Il Corriere della Sera in occasione
della Giornata Mondiale della Famiglia
(Milano 2012) ha pubblicato un inserto contenente, oltre a molte poesie su
questo tema, l'articolo di Claudio Magris che riporto integralmente perchè esprime dei concetti che condivido
pienamente e sui quali credo si debba riflettere al di là di inutili ”idealizzazioni”.
Famiglia
teatro del mondo, di Claudio Magris
“Corriere della Sera” del 3 giugno 2012
Le grandi religioni universali, e soprattutto il Cristianesimo, non sono cosa
da family day. Cristo
è venuto a cambiare la vita degli uomini e a proclamare valori più alti
dell'immediata cerchia degli affetti, anzi a sferzare duramente questi ultimi
quando essi regressivamente si oppongono a un amore più grande. Perfino il
legame più forte, quello tra il figlio e la madre, è trattato bruscamente
quando Maria vuole interferire: «Donna, che c'è tra me e te?» le dice. Quando,
mentre sta parlando a una folla, gli vengono a dire che sua madre e i suoi
fratelli lo stanno cercando, Cristo replica: «Chi è mia madre? E chi sono i
miei fratelli?», aggiungendo che è suo fratello chi fa la volontà del Padre. Se
c'è conflitto tra il rapporto di parentela e il comandamento, la scelta è
chiara: egli afferma di essere venuto a separare, ove sia necessario, «il
figlio dal padre, la figlia dalla madre». La sua stessa nascita, del resto,
scandalosa rispetto alle regole, non rientra certo nel modello dall'ordine familiare.
Naturalmente Cristo non intende negare
l'amore fra e per gli sposi, i figli, i fratelli, i genitori. Vuole
potenziarlo, liberarlo dalla sua così frequente degenerazione egoistica,
benpensante e riduttiva che immiserisce quei legami universali-umani in una
chiusura pavida e arida, sbarrando la porta alla vita e agli altri,
trincerandosi in un piccolo mondo pulito e perbene ma indifferente alla miseria
e alla sofferenza, che magari iniziano fuori della porta sbarrata. C'è una
colorita espressione veneta che raffigura questa falsa e piccina armonia
famigliare basata sul rifiuto degli altri: «far casetta». «Tengo famiglia» è la
scusa migliore per tirarsi indietro dinanzi a un dovere che ci chiama a
metterci a rischio.
La
famiglia è certo una realtà storica, anche se di particolare durata, e come
tale soggetta a trasformazioni e a mutamenti, mai così intensamente e
confusamente come oggi, in un groviglio di liberazioni ora giuste ora
pacchianamente ideologiche e stupide, conformismi travestiti da trasgressione o
da sacri principi, esibizionismi supponenti, in un sommovimento di secolari
tradizioni, costumi, valori, forme di aggregazione familiare. La famiglia è
stata e difficilmente potrà cessare di essere una cellula primaria
dell'universale umano; il Teatro del Mondo in cui l'individuo viene al mondo,
le cui voci gli sono giunte già quando era ancora nella prima stazione del suo
viaggio, nel ventre della madre; in cui l'individuo scopre il mondo, fa
l'esperienza fondante dell'amore o devastante del disamore, impara con i
fratelli il gioco, l'avventura, la lotta, l'ambivalenza di affetto e rivalità;
in cui il padre e la madre gli trasmettono non solo la vita ma anche il suo
senso.
La
famiglia può essere l'incantevole scenario della scoperta del mondo, come in Guerra e pace di Tolstoj, e può
essere tragedia e abiezione, odio e violenza, Caino e Abele, gli Atridi e la
stirpe di Edipo. Può essere luogo di opaca estraneità, di meschini
risentimenti, di violenza e di oppressione; violenza di padri o di mariti
padroni su figli e su mogli, sordida rivalsa femminile di soffocanti tirannidi
domestiche, incombenti clan parentali che hanno trapiantato la tribù nella civitas e risucchiano
l'individuo, come scriveva Kafka, nella pappa informe delle origini. Già la
parola famiglia è un Giano bifronte: indica il mondo che ci è più caro e può
indicare il bestiale legame mafioso. Gide poteva dire: «Famiglie, quanto vi
odio». Le nuove forme di famiglia radicalmente diverse da quella tradizionale,
che si annunciano pure sbracciandosi con enfasi, possono portare valori o
disvalori ma non sono certo al riparo dalle degenerazioni della convivenza.
La
liberazione dell'uomo — il senso del Cristianesimo — non può non liberare pure
la famiglia; anche da se stessa, se occorre. E allora la famiglia può diventare
veramente un Teatro del Mondo e dell'universale-umano: quando, giocando con i
propri fratelli e amandoli, facciamo il primo fondamentale passo verso una
fraternità più grande, che senza la famiglia non avremmo imparato a sentire
così vivamente; quando i genitori ci fanno capire concretamente che cosa
significa essere portati per mano nella giungla del mondo, da una mano che
continua a sorreggere anche quando non la si stringe più fisicamente. In una
famiglia libera e aperta anche l'Eros trova la sua avventura più grande,
misteriosa e conturbante; mangiare in pace il proprio pane con la donna amata in
giovinezza, come dice un passo biblico spesso citato da Saba, è esperienza di
grandi amanti. E i figli, in un universo di rapporti liberati da familismo
(ansioso, autoritario, debole, ossessivo, a seconda dei casi) diventano
realmente la passione più grande che la vita ci fa conoscere.
La civiltà greca ci ha dato Edipo e gli
Atridi, ma anche Ettore che, senza preoccuparsi della propria morte, sulle mura
di Troia assediata gioca con suo figlio Astianatte e il suo desiderio più
grande è che questi cresca migliore e più forte di lui.
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