lunedì 25 novembre 2019

UN' OASI DI SILENZIO

https://www.oscarmondadori.it/content/uploads/2017/08/978880459703GRA.JPGLa cultura umana ha accumulato nei secoli parole preziose, essenziali, cariche di poesia e saggezza, in grado di creare o allargare spazi di intima riflessione.
È da questo tesoro di inestimabile valore che Gianfranco Ravasi attinge, proponendo una scelta di citazioni letterarie, poetiche e filosofiche da cui trae lo spunto per brevi e appassionati commenti. William Shakespeare, Lev Tolstoj, Catullo, Simone Weil, Confucio, Albert Einstein, ma anche Woody Allen, Che Guevara, Giorgio Gaber: pensieri, intuizioni che illuminano interiormente, aiutando ciascuno di noi a coltivare, ogni giorno dell'anno, un'"oasi di silenzio" nel fragoroso deserto di apatia morale e di superficialità che ci circonda.
Un universo di parole che invitano a confrontarsi personalmente con i temi fondamentali dell'umanità e dell'esistenza, con i doveri di amore, verità e giustizia che ognuno ha nei confronti di se stesso, della propria storia, dei propri simili e della casa comune che è il mondo.

                 
                                                                                                                                                                                                                                    LE PAROLE E I GIORNI     di   Gianfranco Ravasi     ecco la meditazione proposta per il                                                                           
                                                  21 ottobre  :   UN AVVERBIO   

La vita non è una proposizione o un’asserzione, ma un’interiezione, una interpunzione, una congiunzione, tutt’al più un avverbio. Comunque mai una delle parti principali del discorso.             Claudio Magris

Conosco ormai da anni e nutro grande ammirazione e affetto per Claudio Magris.
In passato ho letto il suo impegnativo e intenso romanzo Alla cieca e, come spesso mi accade, segnavo qua e là le pagine che mi colpivano maggiormente nella lettura.
A distanza di tempo, riprendendo in mano quel volume, noto la frase che qui propongo. A  pronunciarla nell’opera è Pistorius, “il maestro di grammatica”: Io la riprendo con una finalità un po’ più ampia che, però, non collide del tutto  col senso originario.
Quelle parole, infatti, mi sembrano lanciare un interrogativo  capitale, quello sul senso della vita.
Molti sono convinti di essere in se stessi una frase compiuta e definita, dotata di una sua autosufficienza. Sono gli orgogliosi possessori di tutte le spiegazioni,  ritrovate in se stessi, nella loro ragione, esperienza e vitalità.
Ci sono, al contrario, quelli rassegnati a considerarsi appunto soltanto come una congiunzione o un avverbio che galleggia nell’aria o nel vuoto, senza un significato, simili a una particella che non ha né un’origine né una meta  in cui posarsi e comporsi con altre.
Infine c’è un altro atteggiamento che non emerge direttamente nelle parole di Pistorius ma che potrebbe  da esse derivare: il termine fondamentale è “discorso”. Noi non siamo, forse, una frase perfetta e compiuta ma, pur essendo solo un avverbio limitato, acquistiamo senso e valore proprio perché siamo parte necessaria di un discorso che ci ingloba e trascende. E compito della ragione e della rivelazione divina è svelarci questo discorso.

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Gianfranco Ravasi è un cardinale, arcivescovo cattolico e biblista italiano, teologo ed ebraista. 
Dal 2007 è presidente del Pontificio Consiglio
della Cultura, della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra e del Consiglio di Coordinamento fra Accademie Pontificie.       

lunedì 4 novembre 2019

SHOAH Tempesta devastante


Inserisco questa nota  nelle “Etichette : “Libri e poesie” perché si collega a qualsiasi libro sulla seconda guerra mondiale.
                                                      

Per descrivere e “catalogare” con termini specifici la tragedia della popolazione ebraica in Germania durante il periodo nazista  si sono adattati vocaboli  sia dal passato che attuali. Sono parole  che si sentono spesso e, proprio per non fare confusione,  devo impararne l’origine e l’applicazione.

La parola “Shoah” ha un significato ben preciso e, letteralmente, vuol dire Tempesta Devastante. È un termine che arriva dalla Bibbia e ha un significato di per sé neutro, non direttamente collegato con lo sterminio degli ebrei avvenuto durante la Seconda Guerra Mondiale per mano dei nazisti e di Hitler. Eppure, la parola Shoah, è stata poi fatta propria dagli ebrei che hanno utilizzato  questo termine per indicare lo sterminio del loro popolo nei campi di concentramento. Dopo la famosa Notte dei Cristalli del 1938 infatti, le persecuzioni contro gli ebrei assunsero una forma sempre più feroce fino ad arrivare alla “soluzione” del genocidio sistematico. Ecco allora che Shoah significa sempre Tempesta Devastante, ma è collegato a ciò che hanno subito gli ebrei nei campi di concentramento.

La parola “Olocausto” è greca e deriva da λόκαυστος che significa bruciato interamente. La parola è a sua volta composta da λος (hòlos, “tutto intero”) e καίω (kàiō, “brucio”) e inizialmente era una  forma di sacrificio del  giudaismo. Ebrei, Greci e molte altre popolazioni infatti erano soliti sacrificare un agnello o una capra alle divinità, lasciandolo bruciare tutta la notte. Inizialmente questa parola è quindi legata a un atto di sacrificio religioso volontario e si ricollega anche al sacrificio di Gesù che si offrì in olocausto per salvare gli uomini. Con la Seconda Guerra Mondiale questo termine ha assunto un significato diverso e viene usato per indicare lo sterminio degli ebrei, equiparando questa popolazione ad una vittima sacrificale.
Sarebbe più corretto usare la parole Shoah per parlare di questo argomento in quanto ciò che ha mosso e ha portato allo sterminio degli ebrei non è stata l’idea di un sacrificio, ma l’intenzione di eliminare completamente una popolazione.

Il termine "genocidio" è una parola d'autore coniata da Raphael Lemkin, giurista polacco di origine ebraica, studioso ed esperto del genocidio armeno, introdotta per la prima volta nel 1944.
Lemkin sente la necessità di un neologismo per poter descrivere l'Olocausto, pur facendo anche riferimento al genocidio armeno. Con tale termine, volle dare un nome autonomo a uno dei peggiori crimini che l'uomo possa commettere. Comportando la morte di migliaia, a volte milioni, di persone, e la perdita di patrimoni culturali immensi, il genocidio è definito dalla giurisprudenza un crimine contro l'umanità.
La parola, derivante dal greco γένος (ghénos razza, stirpe) e dal latino caedo (uccidere), è entrata nell'uso comune e ha iniziato ad essere considerata come indicatrice di un crimine specifico, recepito nel diritto internazionale e nel diritto interno di molti paesi.


Anche alcuni avvenimenti particolarmente crudeli  successi durante quel periodo  hanno avuto una loro precisa “definizione”.     

Il rogo dei libri di Bebelplatz a Berlino  - 1933
La notte del  10 maggio 1933 è tristemente noto per i Bücherverbrennungen. A soli  cinque mesi dall’ascesa di Hitler al potere venne organizzata una serie di roghi di libri considerati  non corrispondenti all’ideologia nazista: parliamo di oltre 25.000 volumi..  Così nella notte del 10 maggio 1933 a Bebelplatz – conosciuta storicamente anche come Opernplatz –cataste di volumi furono dati in pasto alle fiamme fra canti, inni e manifestazioni di gioia davanti a un pubblico di 40.000 cittadini. Goebbels presenziò all’evento e tenne un discorso volto alla tutela dell’uomo tedesco contro le influenze ebree e immorali. La purificazione della Germania e la difesa della razza ariana ridussero in cenere i testi di autori socialisti come B. Brecht e A. Bebel, a cui è poi stato dedicato il nome della piazza. Furono distrutte anche le pagine scritte da C.  Marx,  T. Mann, J. Remarque, S. Freud e autori americani come E. Hemingway, J. London. La stessa sorte toccò ai lavori dei primi oppositori del partito guidato da Hitler. Nel rogo furono gettati i volumi scritti da autori ebrei come F. Werfel, M..Brod, S. Zweig e il poeta H. Heine, la penna che nel 1820-1821 partorì le seguenti parole: “Là dove si bruciano libri, si finisce per bruciare anche gli uomini”.
Le “purghe” intellettuali avevano il fine di eliminare gli scritti contrari allo “spirito tedesco”.
Fu ripreso quanto già avvenuto nel 1817: il rogo dei libri “non tedeschi” perché legati alla cultura napoleonica diffusasi al tempo dell’avanzata dell’imperatore Bonaparte.
Questi avvenimenti furono solo alcuni dei tanti episodi accumulatisi nel solco di una lunghissima tradizione che, avviata  nel lontano 1358 a.C. dalla volontà del faraone Akhenaton di cancellare ogni traccia del precedente politeismo dalla biblioteca di Tebe, si era via via consolidata attraverso la distruzione della biblioteca di Alessandria nel 642, il Cile di Pinochet e la Sarajevo del conflitto balcanico, lasciando il proprio triste segno in una miriade di altri luoghi e di altre epoche  fino a  conoscere un rinnovato vigore ancora agli inizi di questo nostro XXI secolo nel drammatico incendio della Biblioteca Nazionale di Baghdad.

La notte dei lunghi coltelli  - 1934
Eliminare fisicamente gli elementi più radicali del partito, considerati a tutti gli effetti nemici. Uno a uno. Tutto, in poco più di 24 ore di terrore, sangue e distruzione. Era questo il piano portato a termine da Adolf Hitler nella notte tra il 29 e il 30 giugno 1934, passata alla storia come La Notte dei Lunghi Coltelli.  Il Fuhrer diede l’ordine di assassinare i suoi oppositori politici all’interno del Partito Nazionalsocialista e dei vertici delle S. A. (Squadre d’Assalto), compreso il loro capo Ernst Röhm.
L’origine dell’espressione “la notte dei lunghi coltelli” deriva da un antico episodio della storia medioevale germanica: il massacro dei celti compiuto nel Quinto secolo da mercenari sassoni in quella che sarebbe dovuta essere la conferenza di pace di Salisbury Plain, nell’Inghilterra centrale.

La notte dei cristalli - 1938
Nella notte tra il 9 e 10 novembre 1938 in Germania, Austria e Cecoslovacchia furono bruciate o completamente distrutte almeno 1.406 sinagoghe e case di preghiera ebraiche[, distrutti i cimiteri, i luoghi di aggregazione della comunità ebraica, migliaia di negozi e di case private.
In quella notte  J. Goebbels e  il capo della Gestapo H. Müller dettero ordini precisi perché la polizia non intervenisse e i vigili del fuoco si limitassero a proteggere le proprietà dei non ebrei.